Giuseppe Garibaldi

indossa il cappello alla calabrese, il mantello con il cappuccio. Ha lo sguardo calmo di chi sa perfettamente dove vuole arrivare. Il suo cavallo è agitato, scalpita. Il bronzo di Ettore Ferrari (1845-1929) celebra un Garibaldi popolano e militare, comandante e rivoluzionario, patriota e avventuriero. Un’immagine non sempre apprezzata dall’iconografia ufficiale del tempo, più attenta a dare del Risorgimento una lettura moderata in chiave monarchica.

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L’opera

Il 2 giugno 1882, a Caprera, Giuseppe Garibaldi muore. La notizia fa presto il giro del mondo. A Rovigo, lo sgomento si diffonde tra i cittadini, soprattutto tra quelli che avevano partecipato alle guerre di liberazione dallo straniero e che con il Generale avevano combattuto. 

Si fa strada l’esigenza di eternare sulla pietra o sul bronzo la grandezza di quell’uomo coraggioso e generoso che aveva sconfitto eserciti, che in America e in Europa aveva combattuto in nome della fratellanza e dell’uguaglianza universale. I soldi però sono pochi, perché al tempo il Polesine è una delle realtà più povere e arretrate d’Italia. È allora che si pensa alla creazione di un Comitato per il monumento con lo scopo di organizzare un concorso, scegliere l’opera e soprattutto trovare i fondi sufficienti per  realizzarla. La giunta municipale del tempo nomina il garibaldino e già sindaco della città Remigio Piva come presidente del Comitato. Dopo aver esaminato diversi progetti, l’incarico per la realizzazione dell’opera è affidato allo scultore romano Ettore Ferrari. Ad invitarlo a partecipare al concorso è lo stesso Piva, che dell’artista conosce le idee politiche e il valore. Sa che Roma ha scartato il bel progetto presentato da Ferrari per il monumento a Garibaldi da erigere sul Gianicolo.  Ne approfitta. Vorrebbe presentarlo alla sua città e ci riesce. La commissione esaminatrice, infatti, forte anche del parere del critico e architetto e amico di Piva, Camillo Boito, è dichiaratamente a favore del progetto di Ferrari. L’incarico è affidato a Ettore Ferrari  nel 1886, ma ci vogliono quasi 10 anni per vedere realizzata l’opera e per assistere alla cerimonia di inaugurazione. 

È il 15 novembre del 1896. Alla cerimonia partecipano in migliaia. 

Un basamento in granito dall’aspetto militare e alto più di 3 metri porta sui suoi lati la memoria dei quattro eventi più importanti dell’epopea garibaldina: le battaglie americane, la difesa di Roma, la spedizione dei mille e  la vittoria di Digione in Francia. Gli elementi decorativi del basamento rimandano simbolicamente a quegli eventi. Sopra il piedistallo si erge maestoso Giuseppe Garibaldi a cavallo. Lo sguardo è fiero, la posa ferma su un cavallo scalpitante. Indossa il cappello alla calabrese ed il mantello con il cappuccio, gli stessi che l’eroe aveva indossato nel ’49 nell’impresa di Roma, a cui aveva partecipato anche il padre dello scultore.Non passano inosservate le staffe a forma di corone rovesciate, simbolo massone e antimonarchico.  

Chi è Remigio Piva?

Nato il 28 febbraio del 1840 a Rovigo, appartiene ad una famiglia benestante. Frequenta il Ginnasio a Rovigo, a Venezia termina gli studi presso il Liceo di Santa Caterina. A Pavia, qualche anno più tardi, si laurea in ingegneria. 

Ha solo 19 anni quando, infervorato per la causa patriottica, entra come volontario nell’esercito dell’Italia centrale. E’ il 1859 e si combatte la seconda guerra d’indipendenza. Nel 1860 accanto a Garibaldi partecipa alla spedizione dei Mille. E più tardi è ancora al fianco del Generale nella terza guerra d’indipendenza e nella campagna dell’Agro romano. Il suo coraggio viene riconosciuto e premiato. 

Di convinta fede garibaldina e democratica, dopo l’Unità d’Italia, Piva svolge un’intensa attività politica e amministrativa. E’ consigliere provinciale, sindaco e tra il 1882 ed il 1896 è il presidente del Comitato per il monumento a Giuseppe Garibaldi. 

Quando muore, il 15 settembre del 1919, la città di Rovigo gli tributa gli onori civili proprio davanti al monumento del padre della Patria.  Anche Remigio Piva, come Garibaldi, è espressione di un’età passata alla storia come leggendaria.

L’autore: Ettore Ferrari

(Roma 25 marzo 1845 – 19 agosto 1929). Il padre di Ettore è un carbonaro ed un repubblicano, scultore e incisore di scuola neoclassica.  E’ da lui che eredita la vocazione artistica e quella politica

 Quando Rovigo gli affida l’incarico per il monumento di Garibaldi, Ferrari è uno scultore affermato, un deputato ed un consigliere comunale della sua città. Ma è anche un massone, affiliato al circolo Rienzi di Roma di cui nel ’92 diventa gran maestro e dentro cui porta avanti le sue idee repubblicane e democratiche.

Negli anni in cui lavora al bronzo di Rovigo, inaugura alcune delle sue opere più celebri come il monumento a Vittorio Emanuele II a Venezia e il monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma. In quegli anni insegna anche scultura nell’Istituto superiore di Belle Arti.

Sono almeno 20 i monumenti in memoria di Garibaldi che lo scultore realizza in Italia e all’estero. Ciò che contraddistingue sempre i suoi lavori è la capacità di fondere il racconto storico con quello allegorico e simbolico, proprio come nell’opera di Rovigo.  L’unico monumento equestre dell’eroe dei due mondi realizzato da Ferrari.