L’opera
Maggio 1931. Nei giardini di viale Umberto I, a pochi passi dalla stazione dei treni, il monumento è inaugurato. Alla cerimonia ci sono tutti: autorità, cittadini, curiosi e persino le telecamere del Cinegiornale Luce.
L’opera in marmo è dello scultore rodigino Virgilio Milani.
L’essenzialità e la monumentalità del corpo solido sotto il pesante mantello da viaggiatore reggono un volto dalla lunga barba bianca, con lo sguardo profondo e la fronte corrucciata, come doveva essere quella dell’esploratore Miani, insaziabile di avventure e nuove sfide, affamato di conoscenza e di gloria.
In città non è l’unico monumento a Miani. Nel 1877, lo scultore veneto Giuseppe Soranzo realizza un busto in marmo per la prestigiosa sede dell’Accademia dei Concordi, dove ancora si trova e dove sono conservate anche le spoglie dell’esploratore, tornate nella sua città natale dopo lunghe e tormentate ricerche.
Lo sapevi che…
Nel 1859 Miani arriva nel punto più a sud dell’Africa, dove ancora nessun europeo era giunto. Lì, nell’attuale Uganda, sulla corteccia di un tamarindo, incide le sue iniziali. Quell’albero, per lungo tempo, fu indicato in tutte le carte geografiche come il Miani’s tree.
Nelle spedizioni successive, Miani è testimone delle innumerevoli crudeltà compiute dagli Europei a danno dei nativi, le annota nel suo diario e scrive: “Il sangue di tanti innocenti grida vendetta e la natura che li ha creati non può restare indifferente a tante stragi”.
Chi è Giovanni Giacomo Miani?
Giovanni Giacomo Miani (1810-1872) è il figlio “bastardo” di una domestica. Nasce a Rovigo nel 1810. Trascorre un’infanzia in povertà. A 14 anni raggiunge la mamma presso la casa del nobile veneziano Pier Alvise Bragadin, dove lavora. Il giovane è accolto ed educato come un figlio. Cresce colto, ambizioso, coraggioso, nutre sogni grandiosi.
Il primo è la realizzazione di un’enciclopedia universale della musica.
Si infervora della causa patriottica e nel 1848-49 combatte con coraggio a Roma, a Forte Marghera e San Secondo. La sconfitta della neonata Repubblica di San Marco lo costringe all’esilio prima a Malta e poi a Costantinopoli, dove per vivere canta come tenore in un teatro.
E’ questo il periodo in cui matura il sogno della “grande impresa” che gli avrebbe garantito gloria e immortalità: scoprire le sorgenti del Nilo.
Ha più di 40 anni, non possiede una preparazione specifica, né denaro a sufficienza per organizzare e attrezzare una spedizione. Studia, riesce a recuperare un finanziamento dalla Francia di Napoleone III e si attrezza di tutto ciò che serve.
Più volte deve organizzarsi, partire, tornare e ripartire. Mai si dà per sconfitto.
Riesce ad arrivare nel punto più profondo dell’Africa, dove nessun prima di lui è mai giunto, tra Sudan e Uganda, nei pressi del lago Victoria, proprio a poca distanza dall’obiettivo. Una febbre insistente lo costringe a fermarsi.
Nel frattempo due esploratori inglesi, J.H.Speke e J.A. Grant, lo anticipano e scoprono le sorgenti del Nilo.
Lo sconforto in Miani non supera mai l’entusiasmo di ripartire.
E così riparte per nuove spedizioni con l’obiettivo di indagare, conoscere i luoghi, ma soprattutto le genti d’Africa.
A sessant’anni compiuti si spinge in prossimità dell’Equatore, nel territorio tra l’attuale Congo-Zaire. E’ una spedizione difficile, da cui non fa ritorno.
“Non ho più carta da scrivere: sono affranto dai dolori al petto…ho fatto scavare una fossa per seppellirmi; e i miei servi mi baciano le mani dicendomi: Dio non voglia che tu muoia. Addio tante belle speranze, sogni della mia vita. Addio Italia per la cui libertà anch’io combattei”.
Lo scrive nell’autunno del 1872 su quell’ultimo pezzo di carta che, insieme agli altri, forma uno dei più preziosi contributi geografici ed etnografici lasciati nel XIX secolo da un esploratore d’Africa all’Europa.
Il libro delle sue memorie con il carteggio, gli appunti di ogni viaggio, i disegni, le mappe, le carte geografiche e le 14 casse con gli oggetti raccolti durante tutti i viaggi, sono stati donati alla sua Venezia.
Conservati al Museo Civico di Storia Naturale, sono considerati la più antica collezione europea di etnografia africana.
Quando, il 21 novembre 1872, Miani muore a Tangasi, l’amico Munsa, un indigeno che lo ospitava, gli taglia la barba fluente e se la appende al collo per tenere vivo lo spirito del Leone.
Il leone bianco. Così lo chiamavano gli indigeni, per il colore della sua pelle e per il coraggio indomito del suo animo.
L’autore: Virgilio Milani
L’autore del monumento è Virgilio Milani (1888-1977), il più apprezzato scultore polesano del Novecento.
Uomo schivo e solitario, recettivo e aperto alle novità artistiche internazionali, Milani non ama partecipare alle esposizioni, preferisce lavorare nel silenzio della sua casa studio di Rovigo.
Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia con il maestro verista Antonio Dal Zotto, che ricorda “di un realismo tremendo quando ci faceva notare che l’iride era lievemente sporgente dal bulbo e ci invitava a tenerne conto”. Si serve del linearismo e del decorativismo Liberty per reagire a quell’eccesso di verità accademica.
La resa intensa dei volti e degli sguardi, la caratterizzazione psicologica, la preferenza per forme plastiche impeccabili ed essenziali che recuperano e reinterpretano la lezione del Rinascimento toscano, contraddistinguono gran parte del suo lavoro di scultore.
Negli ultimi anni di attività, l’essenzialità delle forme lo portano ad approdare all’astrattismo.
Ma l’anima più bella dello scultore rodigino si trova nell’enorme opera ritrattistica, nei potenti e ruvidi nudi femminili, nei numerosi monumenti funebri.
Lavora con passione e intensità fino a poco prima di morire nel 1977.
Vecchio, provato dalla malattia e chiuso in un silenzio ancora più rigido dopo la morte della moglie, Antonietta Bellinello, sua compagna di vita, musa e modella, Milani, in un raptus di rabbia, distrugge gran parte dei suoi lavori.
Vuole essere dimenticato.
Ma a Rovigo è impossibile farlo.
Passeggiando per il centro, alzando gli occhi, sono molte le sue opere: fregi decorativi, bassorilievi, monumenti, come questo al Leone Bianco del Nilo inaugurato nel 1931.
L’essenzialità e la monumentalità del corpo, solido, sotto il pesante mantello da viaggiatore, reggono un volto dalla lunga barba bianca, con lo sguardo profondo e la fronte corrucciata, ancora piena di progetti e di tensione verso la prossima sfida. Dell’uomo Giovanni Giacomo Miani, Milani racconta la fierezza e la forza del pensiero, di cui anche le sue grandi mani sono espressione.